Ossequioso e collerico, diviso fra paranoica timidezza e incontenibili furori, in queste interviste, per la prima volta raccolte in volume, Gadda parla di sé, delle sue opere perennemente a telaio, del suo lavoro di scrittore e del metodo che lo governa, del successo, di questioni linguistiche e stilistiche, della nostra tradizione letteraria. Irresistibile, in particolare, la galleria di autori prediletti (Manzoni, Parini) o aborriti (in sommo grado Foscolo, il più grande «strafalcionista del lirismo italiano ottocentesco», ma l’irrisione feroce non risparmia Carducci, Pascoli, D’Annunzio) delineata nel corso degli incontri con Alberto Arbasino. Ma soprattutto, in ogni occasione, Gadda si difende da tutto e da tutti: dall’imbecillità dei critici che si basano sulle «vigenti disposizioni di legge» e sulle «idee fisse», dall’odiata accusa di barocchismo e stravaganza, dai gusti e dai vizi nazionali imperanti. Come quando, a proposito del neorealismo, osserva: «Il fatto in sé, l’oggetto in sé, non è che il morto corpo della realtà, il residuo fecale della storia...». Sempre, in ogni sia pur minima battuta di questo scrittore che si dichiarava «inetto a cicalare con brio», il lettore saprà riconoscere e gustare la fosforeggiante genialità del grande macaronico e l’«accensione di intentata novità»del suo linguaggio.
Ossequioso e collerico, diviso fra paranoica timidezza e incontenibili furori, in queste interviste, per la prima volta raccolte in volume, Gadda parla di sé, delle sue opere perennemente a telaio, del suo lavoro di scrittore e del metodo che lo governa, del successo, di questioni linguistiche e stilistiche, della nostra tradizione letteraria. Irresistibile, in particolare, la galleria di autori prediletti (Manzoni, Parini) o aborriti (in sommo grado Foscolo, il più grande «strafalcionista del lirismo italiano ottocentesco», ma l’irrisione feroce non risparmia Carducci, Pascoli, D’Annunzio) delineata nel corso degli incontri con Alberto Arbasino. Ma soprattutto, in ogni occasione, Gadda si difende da tutto e da tutti: dall’imbecillità dei critici che si basano sulle «vigenti disposizioni di legge» e sulle «idee fisse», dall’odiata accusa di barocchismo e stravaganza, dai gusti e dai vizi nazionali imperanti. Come quando, a proposito del neorealismo, osserva: «Il fatto in sé, l’oggetto in sé, non è che il morto corpo della realtà, il residuo fecale della storia...». Sempre, in ogni sia pur minima battuta di questo scrittore che si dichiarava «inetto a cicalare con brio», il lettore saprà riconoscere e gustare la fosforeggiante genialità del grande macaronico e l’«accensione di intentata novità»del suo linguaggio.
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